Dieselgate, luci e ombre sul terremoto che scuote la Volkswagen, ecco i risvolti del caso

ott 09, 2015 No Comments by

ROMA – Siamo ahimè abituati agli scandali della politica, dove il complotto e la corruzione sono come dei tentacoli di un sistema che sempre più spesso coinvolge i rappresentanti delle lobby del mercato finanziario e quello delle imprese. In questi giorni a tenere banco è la sconcertante notizia sulla manipolazione dei dati relativi alle prestazioni e alle emissioni inquinanti di alcuni modelli di riferimento di uno dei marchi simbolo dell’industria automobilistica tedesca, la Volkswagen.VW_das_autogol_masman

«Dieselgate» è l’appellativo che la stampa ha affibbiato al caso tedesco che è scoppiato in America, come il famigerato Watergate del 1972, dove alcune intercettazioni telefoniche abusive portarono alle dimissioni dell’allora presidente Richard Nixon. Dopo mesi che la Casa tedesca era nel mirino dell’Epa (Environmental protection agency), l’ente di protezione dell’ambiente degli Stati Uniti, a causa di valori alterati delle emissioni inquinanti nel corso di prove in strada dei modelli due litri turbodiesel di Passat e Jetta, sulla Volkswagen si è abbattuto un tifone di dimesioni gigantesche, che ha fatto barcollare lo stato maggiore della Casa di Wolfsburg.

La satira ha preso di mira Martin Winterkor

La satira ha preso di mira Martin Winterkorn

La prima testa che è caduta è stata quella del gran capo della Volkswagen, Martin Winterkorn, il gruppo che controlla anche i marchi Audi, Seat, Škoda, Bentley, Bugatti, Lamborghini, Porsche, e il brand Ducati per le moto, oltre a quelli Scania e Man per gli autoveicoli commerciali.  Un colosso che controlla 12 marchi, con circa 600 mila dipendenti, 119 impianti sparsi nel resto mondo, 10 milioni di auto vendute e un fatturato di oltre 200 miliardi di euro.copertina_Auto_Bild_masman

Una sorta di complotto nelle ipotesi del Bild

Sotto accusa è finito il software dei motori che appartengono alla famiglia «EA 189» (Euro 5) e a quelli  più recenti della famiglia «EA 288» (Euro 6). Secondo il famoso settimanale tedesco Auto Bild la questione avrebbe tutti i contorni di un giallo, perchè a sollevare il caso impietoso sarebbe stato un report della Icct institut (International council on clean transportation), finanziato dalla ClimateWork Foundation che, a sua volta, è supportata dalla Ford Foundation. Ci sarebbe stata quindi una «segnalazione» sulla irregolarità per concorrenza sleale e non solo che ha allertato l’Epa sul fatto che i dati relativi ai controlli di laboratorio sulle emissioni di elementi inquinanti erano controversi rispetto alle misurazioni effettuate dalle stesse vetture su strada, e quindi in conflitto con la rigida normativa americana.

L'editoriale apparso sul settimanale Auto Bild

L’editoriale apparso sul settimanale Auto Bild

Il difficile mercato americano per i motori diesel

È chiaro che, secondo la rivista Auto Bild, potrebbe esserci lo zampino del colosso automobilistico statunitense dietro la denuncia che ha messo in seria crisi la reputazione dell’industria automobilistica tedesca, che è il secondo produttore mondiale dopo la giapponese Toyota. È risaputo che il mercato americano non si è mai entusiasmato per le motorizzazioni a gasolio, confinandole quasi esclusivamente per l’equipaggiamento di veicoli commerciali. Inoltre, secondo il dipartimento dell’Energia di Washington, le scorte di petrolio negli Usa si sarebbero triplicate, stimolando una consolidata tendenza del mercato all’uso di muscolosi propulsori a benzina, fra i quali spuntano marchi come Ferrari, Maserati e Lamborghini.

Un operaio nello stabilimento di Chattanooga

Un operaio nello stabilimento di Chattanooga

Sono stati i tedeschi di Volkswagen, Audi, Bmw e Mercedes ad introdurre alcune motorizzazioni diesel sul mercato americano, attraverso i modelli Golf e Jetta, Audi A3 e Q7, Bmw X5 e Mercedes Classe M e Classe R. Una strategia commerciale del colosso automobilistico europeo, vista come una sorta di invasione nel mercato statunitense. Fonti ufficiali dicono che il marchio Volkswagen stenta a decollare negli Stati Uniti d’America, puer avendo investito molti milioni di euro per la costruzione di uno stabilimento a Chattanooga nel Tennessee, dove la Casa di Wolfsburg costruisce una versione della berlina Passat per il mercato americano.

La procura ha aperto una inchiesta

Intanto la procura della Bassa Sassonia ha aperto un fascicolo a carico dell’ex amministratore delegato di Volkswagen, il sessantasettenne Martin Winterkorn, il quale, con un gesto di responsabilità, ha lasciato la poltrona di Ceo, dopo che era salito sulla tolda di comando del Gruppo nell’aprile scorso, prendendo il posto dello storico presidente Ferdinand Piëch, discendente dell’ingegnere tedesco Ferdinand Porsche (1875-1951). Ieri la magistratura tedesca ha ordinato delle perquisizioni negli uffici di Wolfsburg e in alcune abitazioni dei dipendenti del gruppo automobilistico messo sotto assedio dai severi giudizi dell’opinione pubblica internazionale. Anche la procura di Torino ha aperto un’inchiesta, ipotizzando reati di frode in commercio e disastro ambientale.

Matthias Müller

Matthias Müller

Alla Volkswagen c’è un nuovo comandante

Nelle acque tempestose dello scandalo «dieselgate», sulla tolda di comando della intrepida corazzata tedesca è salito il sessantaduenne Matthias Müller, che è stato a lungo il ceo del  brand di lusso Porsche, il maggior azionista della Volkswagen AG. Approdato alla Volkswagen nell’inverno del 2007, dopo aver lasciato il posto di coordinatore delle linee di produzione dell’Audi e della Lamborghini, è diventato responsabile delle strategie di tutti i prodotti del gruppo tedesco. Si era già fatto il suo nome come sostituto di Winterkorn, quando nelle travagliate dimissioni di Piëch della primavera scorsa – a seguito dei duri contrasti emersi proprio con il suo «delfino» Winterkorn a causa degli scarsi risultati ottenuti dalla presenza del gruppo Volkswagen sul mercato americano –  si sarebbe preferito imporre un successore fedele alla filosofia del prestigioso marchio della Casa di Stoccarda (Porsche) -.  Molti detrattori sono pronti a scommettere che questa scelta possa portare una nuova tegola sul marchio tedesco, dal momento che si ipotizza che proprio alcuni ingegneri della Porsche, in collaborazione con lo staff tecnico Audi, avrebbero messo a punto il software incriminato.

Il quattro cilindri 2-o TDI Ea 189 Euro 5

Il quattro cilindri 2-o TDI Ea 189 Euro 5

Il geniale inganno dell’algoritmo truccato

La «soluzione» usata dalla Volkswagen per raggirare il problema della omologazione dei motori quattro cilindri «EA 189» (Euro 5) del 2009, relativamente ai dati delle emissioni inquinanti di ossidi di azoto (NOx), è stato un algoritmo inserito nel codice identificativo del software che gestisce le principali funzioni del propulsore. La centralina «intelligente» era in grado di riconoscere, attraverso alcuni parametri sensibili, quando la vettura era sottoposta a controllo di laboratorio per mezzo di una piattaforma automatizzata a rulli,  riuscendo così a risettare i codici di funzionamento del motore, rimodulando una mappatura ad hoc in grado di ristabilire tutti i parametri necessari per superare il test di omologazione. Una truffa in piena regola, che ha colpito la buona fede dei consumatori e contravvenuto a quelle che sono le rigide norme sull’inquinamento, già messe a dura prova in passato anche da altri marchi illustri come Toyota e Hyundai. A partire dal prossimo anno dovrebbe arrivare il nuovo ciclo di omologazione Wltp (World light vehicle test procedure) che introdurrà l’obbligo di affiancare alle prove di laboratorio quelle reali su strada.volkswagen-dieselgate_golf_masman

Il principale imputato è l’ossido di azoto

Sarebbero 11 milioni le auto coinvolte nello scandalo delle centraline finite nell’occhio del ciclone dell’Epa, di cui 8 milioni solo in Europa. Sul tavolo degli imputati è finito l’ossido di azoto, il principale responsabile delle emissioni inquinanti dei motori diesel. È ormai noto che le motorizzazioni diesel producono meno CO2 rispetto ad un motore a benzina di analoga potenza. La produzione del Co2 è direttamente proporzionale al consumo di carburante. Ricordiamo che il CO2, il biossido di carbonio, è un gas serra che contribuisce al surriscaldamento del pianeta. Allo stesso tempo produce come emissioni inquinanti più particolato (denominato PM10) e più ossidi di azoto (NOx), potenzialmente responsabili di malattie respiratorie e cardiovascolari. L’ossido di azoto è di fatto una sostanza irritante che è una delle concause nella formazione di smog fotochimico indotto dalla luce ultravioletta presente nei raggi del sole.fap_particolato_masman

Il PM10, ossia il particolato, è il prodotto della combustione della goccia di gasolio che viene iniettata nella camere di scoppio dagli iniettori nei motori diesel. La cattiva o parziale combustione della goccia di gasolio, crea così un composto carbonioso.

Per l’abbattimento delle emissioni nocive, l’industria automobilistica ha individuato negli appositi filtri antiparticolato (Fap) e (Dpf) che rappresentano la soluzione utile a catturare quelle che sono le particelle inquinanti. La normative Euro 5 ha imposto sui motori diesel l’adozione di marmitte catalitiche che adottano un filtro antiparticolato che funziona come una sorta di setaccio (costruito con degli stampi di carburo di silicio poroso) che blocca come in una trappola le particelle e successivamente le brucia.

Ma esistono sistemi combinati molto più complessi di post-trattamento dei gas di scarico, adottati per soddisfare quelli che sono i parametri ecologici imposti per i motori diesel. Si passa da quello Lnt (Lean no trap) per i motori più piccoli, fino a catalizzatori di tipo Scr (Selective catalist reduction) e DeNox, che trasformano l’ossido di azoto (NOx) in sostanze non inquinanti come acqua e azoto.

La Volkswagen Jetta 2.0 Tdi

I rimedi ventilati dalla Casa tedesca: pro e contro

Intanto la Volkswagen sta pensando ad una «procedura di richiamo» per tutte quelle autovetture equipaggiate con il sistema elettronico contraffatto. La questione è assai complessa e costosa per le casse del gruppo tedesco, che rischia anche un’ammenda record di diciotto miliardi di dollari a causa delle sanzioni che ne deriveranno dalle prevedibili decisioni delle autorità americane. In Italia i modelli potenzialmente conivolti nello scandalo sono quelli Volkswagen, Audi, Seat e Škoda che montano motori quattro cilindri turbodiesel due litri del tipo «EA 189», prodotti a partire dal 2009. Proprio in questi giorni la Volkswagen ha messo in rete sugli appositi siti internet del gruppo un servizio clienti attraverso il quale, digitando semplicemente il numero del telaio della propria autovettura, si può capire se l’auto che si possiede è quella sottoposta alle attenzioni di cui sopra. Solo una volta che i tecnici della Casa tedesca avranno individuato le soluzioni tecniche necessarie per ripristinare la mappatura del software «incriminato», ci potrebbe essere un richiamo delle vetture. Rai_news_volkswagen_masman_KK

Ma la questione è assai più complessa rispetto a quello che appare. Perché la struttura dei famigerati propulsori coinvolti nel «dieselgate» nasce da un progetto «mutilato» del cinque cilindri Audi di 2.461 centimetri cubici. Vale a dire che gli «adattamenti» alle normative Euro 5 avrebbero potuto limitare il range prestazionale del propulsore, anche nell’ottica del rispetto delle severe norme di carattere ecologico. Tutto questo per dire che l’eventuale «ripristino» delle condizioni di omologazione, potrebbe passare attraverso una drastica limitazione della prestazione delle vetture. Una delle ipotesi meno rischiose (ma certamente più costose per la Casa madre) sarebbe quella della sostituzione dei motori. Staremo a vedere.

Massimo Manfregola

Collaborazione fonti: Piero Melloni (Germany)

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Massimo Manfregola è un giornalista con esperienze nel campo della comunicazione della carta stampata e della televisione. È specializzato nei settori del giornalismo motoristico, con una particolare passione per l’approfondimento di tematiche legate all’arte e alle politiche sociali.
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