Ritorno al futuro per l’agricoltura biologica in Alta Pusteria Un patrimonio da tutelare

gen 31, 2015 No Comments by

VERSCIACO – Il tanto discusso decreto legge sul pagamento dell’Imu per i terreni agricoli di montagna riaccende il dibattito sull’importanza di preservare e tutelare la biodiversità nelle aree montane, anche attraverso una riconversione ad una agricoltura biologica.badia_prati_masman_low

Sono proprio i comuni considerati “totalmente montani” (che, secondo un criterio altimetrico, sorgono al di sopra dei 600 metri sul livello del mare) quelli che necessitano di un’attenzione particolare per quanto riguarda la tutela del territorio anche per evitare lo spopolamento del manufatturiero agricolo nelle zone alpine. La questione è complessa, perché oltre ad interessare tutti gli aspetti legati alla prevenzione geologica, ingloba anche quella che è l’intera catena alimentare di un ecosistema in continua evoluzione, in considerazione del mantenimento di quella che è la stabilità delle risorse ambientali attraverso un uso sostenibile.

L’agricoltura estensiva praticata nella valli alpine vive da sempre una sorta di disagio legato alla competitività del prodotto nell’ambito della grande distribuzione, in relazione a quelli che sono costi e ricavi di una coltivazione di nicchia, in condizioni orografiche che impediscono un livello di meccanizzazione adeguato, allorché contribuisca al mantenimento e alla valorizzazione delle risorse naturali e paesaggistiche.

L’Europa stabilisce delle direttive comunitarie per l’Agricoltura (Pac), una sorta di negoziato che si rinnova all’interno dei 27 Stati membri in un quadro di codecisione programmatica tra Consiglio e Parlamento europeo. Nella riforma legislativa della Pac per il periodo 2014-2020, che segue di pari passo la revisione del Quadro finanziario pluriennale dell’Unione europea relativa al medesimo periodo, e che tiene conto di una ventaglio di mutazioni socioeconimiche oltre che climatiche, sono tracciate le linee guida per ottenere sussidii e finanziamenti per l’agricoltura, in base anche a vincoli ecologici “greening” che perseguono obiettivi ambientali fortemente voluti dalla Commssione europea.

L’unico strumento di finanziamento della politica di sviluppo rurale è quindi il Fondo europeo agricolo (Feasr) che è operativo dal primo gennaio 2007. Grazie all’Accordo di partenariato, che stabilisce le modalità adottate dall’Italia per provvedere all’allineamento con la strategia della Ue per una crescita  intelligente e sostenibile, in conformità con il quadro istituzionale e giuridico nazionale in ambito locale, le regioni posso avere accesso ad un piano di finanziamenti integrati e finalizzati allo sviluppo territoriale. In particolare, grazie all’accordo siglato il 29 ottobre 2014, in funzione dell’utilizzo dei fondi europei strutturali e di investivento 2014-2020, ammontano a 10 milioni e 429,70 mila euro quelli per il fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr); a 20 milioni e 651,50 mila euro quelli per il fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr); a 10 milioni e 467,20 mila euro quelli per il fondo sociale europeo (Fse).

Nel dettaglio, le risorse europee disponibili per la gestione regionale dei fondi in funzione dell’Accordo di partenariato 2014-2020, destinate alle regioni che hanno territori rurali di montagna sono le seguenti: Bolzano, 294 milioni e 615.198 euro; Trento, 238 milioni  e 869.039 euro e Friuli Venezia Giulia con 381 milioni e 295.499 euro.

Proprio in questa direzione, nell’ambito di una politica di sviluppo rurale contestualmente alla Ue (47% èterreno agricolo e il 30% delle foreste), è fondamentale che i piccoli imprenditori agricoli siano a conoscenza degli strumenti che gli consentano di affrontare con più garanzie una sfida che si è fatta sempre più critica anche a causa di una concorrenza extra-nazionale penalizzante e non solo per gli effetti della pesante congiuntura economica di questi anni. Una condizione fondamentale, quella di sapersi districare nel fitto ginepraio di leggi, regole e finanziamenti dettati dalla piattaforma comunitaria di Bruxelles, per gli operatori agricoli di montagna come ad esempio quelli dell’Alta Pusteria, che attingono la massima redditività soprattutto dall’allevamento di bovini da latte, un’attività direttamente connessa con lo sfruttamento di quelle aree verdi polifite destinate a fondo agricolo per la produzione di fieno per il foraggio utile alla buona e bilanciata alimentazione degli animali.

approviggionamento del fieno sulle praterie del Monte Elmo a Sesto

approviggionamento del fieno sulle praterie del Monte Elmo a Sesto

L’adozione di tecniche biologiche e naturali, in linea con la condotta “greening” della Ue, necessita di conoscenze specifiche di supporto all’attività primaria legata all’allevamento di bovini e alla produzione di latte destinata alla lavorazione di pregiati formaggi autoctoni. Infatti una buona campagna di sensibilizzazione viene fatta da alcune aziende che operano nel campo della zootecnia per offrire consulenza specializzata a quelle realtà agricole di montagna desiderose di adeguarsi ad un concetto ecosostenibile di agricoltura zootecnica. «Le attività agricole nelle valli dolomitiche sono certamente meno redditizie rispetto ad un concetto di agricoltura intensiva che viene operata in zone collinari o pianeggianti del resto del territorio nazionale – commenta Hannes Klocker, ingegnere zootecnico specializzato in foraggicultura e consulente per l’agricoltura montana presso la Bring-Beratungsring Berglandwirtschaft di Bolzano, che poi continua -. Le piccole aziende dislocate nelle aree di montagna come nell’Alta Pusteria, oggi devono puntare tutto sulla qualità e su un prodotto biologico, coltivato attraverso un tipo di concimazione naturale del terreno, rinunciando a pesticidi e a fertlizzanti minerali. Un comportamento che premia gli agricoltori virtuosi con un finanziamento che vale circa 250 euro per ettaro se lavorato e concimato con elementi naturali».

Il faticoso lavoro manuale nella prateria di Croda Rossa

Il faticoso lavoro manuale nella prateria di Croda Rossa

Eh già, perché l’adeguamento a quelli che sono i prìncipi basati su un’agricoltura ecologica e sostenibile  – che devono rappresentare un consapevole punto fermo per le nuove generazioni – offre anche uno stimolo economico agli imprenditori agricoli di montagna che devono fare i conti con le difficoltà di un territorio che per la sua particolare conformità geografica, a parità di redditività, necessità di un maggiore impegno e lavoro manuale. «Il nostro lavoro di consulenza per le attività agricole di montagna  – continua l’ingegnere Hannes Klocker – è anche quello di offrire un adeguato supporto per quanto riguarda la gestione finanziaria e amministrativa delle aziende, che in questo modo possono attingere ai fondi di finanziamento europeo se adottano determinati comportamenti ecosostenibili».

Hannes Klocker, l'ingegnere ingegnere zootecnico specializzato in foraggicultura e

Hannes Klocker, ingegnere zootecnico specializzato in foraggicultura

Ma il lavoro dei contadini in montagna è spesso fatica a mani nude, perché l’uso delle macchine è assai limitato fra ripidi pendii e zone poco accessibili. La raccolta del fieno per il foraggio, ad esempio, è una delle attività determinanti per il buon allevamento dei bovini da latte. «Viene utilizzato esclusivamente il foraggio aziendale, vale a dire quello che viene sfalciato in valle durante l’estate fra i 1200 e i 1600 metri di altezza e conservato nei fienili – ci erudisce il 26enne Hannes Lkocker con l’aria di colui che ha maturato una certa esperienza pratica nel settore -. Si raccoglie ancora parzialmente umido, facendolo poi essiccare con una ventilazione di aria fredda che ne conserva tutte le proprietà, lasciando intatto il colore, fiori e foglie. Qui in Val Pusteria, ad un’altitudine di 1000 metri, i contadini del luogo riescono a fare al massimo tre tagli a stagione, contro i sei tagli dei contadini di Bressanone. Solitamente il terzo taglio è quello più completo per gli animali, perché contiene maggiori sostante nutritive e, una volta essicato, è facilmente riconoscibile da un allevatore esperto».

Sono pressapoco ancora diecimila le aziende agricole che in Alto Adige sono gestite secondo un programma di pianificazione adeguata alla implacabile forbice costi e ricavi, valorizzando la tendenza ad un prodotto biologico e di qualità soprattutto nella lavorazione di latte e formaggi, a fronte delle circa 27 mila aziende complessive. Sono invece poco meno di 13 mila le aziende a vocazione zootecnica, all’interno delle quali il numero di ovini e caprini è di fatto aumentato, proprio perché le difficoltà morfologiche della regione alpina e la bassa meccanizzazione, convincono allevatori e piccoli agricoltori a soluzioni per allevamenti meno impegnative. Esiste, però, una positiva controtendenza: infatti in Alto Adige, in un territorio che conta una superficie di circa 7.500 chilometri quadrati, di cui 270 mila ettari destinati ad aree agricole, sono in crescita quelli allevatori – soprattutto giovani – che hanno avviato o in procinto si farlo, un processo di alta industrializzazione per la la lavorazione del latte e derivati per quanto riguarda l’allevamento di bovini.capretta_armentare_val_badia_low

Gli ultimi dati statistici ci ricordano che circa 132 mila bovini sono allevati su masi di montagna. E che la razza che meglio si adatta al territorio alpino è la Grigia Alpina o Bruna, con ottime attitudini al lavoro e alla produzione di latte e carne. Una risorsa importantissima per la qualità dei nostri prodotti. Ma è la Frisona, bianca con pezzature nere, la regina delle mucche per quanto riguarda la sua produzione di latte, che si aggira in media sugli 8000 Kg all’anno per un esemplare in buone condizioni. Seguita dalla Pinzgauer di origine bavarese (circa 6000 Kg latte/anno), dalla Bruna Grigia (5000 Kg latte/anno) e dalla Pezzata Rossa Simmental, che porta il nome locale di origine svizzera Simmentaler Fleckvieh.

La Frisona, regina del latte © g.mazza

La Frisona, regina del latte © g.mazza

Fra le razze autoctone in via di estinzione in Alta Pusteria c’è la Pustertaler, chiamata pure “Sprinzen” o “Schecken“, un bovino la cui origine risale al 1700 ed è l’incrocio della Pinzgau con razze pezzate nere e pezzate rosse.  Molti problemi derivanti dall’allevamento di bovini hanno origine dall’alimentazione poco bilanciata, dalla salute della mammella, dalla fertilità e dalla salute degli zoccoli dell’animale, aspetti che convergono nella consapevolezza di una attenta cura degli animali nel rispetto di quelle che sono le esigenze naturali della specie e delle tecniche di allevamento in equlibrio con l’ecosistema del territorio.

Simmentaler a Strassen

Simmentaler a Strassen

Dal 1985 è stato istituito il Registro Anagrafico delle popolazioni bovine autoctone e gruppi etnici a limitata diffusione. Tale registro è stato istituito per salvaguardare le razze bovine minacciate di estinzione che risultano allevate in Italia e per la salvaguardia di questi patrimoni genetici. Sono state ammesse le seguenti razze: Agerolese, Bianca Val Padana (Modenese), Burlina, Cabannina, Calvana, Cinisara, Garfagnina, Modicana, Mucca Pisana, Pezzata Rossa d’Oropa, Pinzgauer, Pontremolese, Pustertaler, Reggiana, Sarda, Sardo-Modicana, Varzese.

La Bruna Alpina o Grigia di un allevamento di Versciaco

La Bruna Alpina o Grigia di un allevamento di Versciaco

La pastorizia è da sempre una delle voci di bilancio economico più importanti per gli allevatori delle valli alpine. Una tradizione che gli abitanti delle montagne si sono tramandate in famiglia per secoli. Oggi, anche per i motivi che abbiamo menzionato precedentemente, questa antica attività ha progressivamente conosciuto una certa contrazione. E solo una riconversione al biologico e una concreta politica di tutela dei prodotti caseari da parte della Comunità europea potrà ridare ossigeno a tutta la filiera e, a nuove e proficue opportunità all’imprenditorialità giovanile.

La Pinzgauer

La Pinzgauer

In Alta Pusteria, come in molte altre valli dell’Alto Adige, il latte fresco proviene direttamente dagli antichi masi di montagna, parte integrante di un patrimonio paesaggistico da tutelare, da una quota che varia fra gli 800 e 2000 metri di altitiudine. Tutto il prodotto appena munto viene trasferito dalle piccole aziende a conduzione familiare, dove coabitano in media circa 12 bovini a stalla, entro e non oltre le 24 ore dalla mungitura.

La Pustertaler

La Pustertaler

I prodotti della lavorazione del latte, oltre agli ottimi formaggi, di cui molti tutelati dalla denominazione attribuita dalla Comunità europea Dop, per quelli per cui hanno determinate caratteristiche per fattori naturali quali il clima, tecniche di produzione tradizionali e lavorazione sono allocate in una determinata area geografica delimitata, le piccole aziende casearee della zona producono ottimi latticini, fra cui  yogurt, burro, panna, quark, mascarpone e ricotta.

Dolomitenkönig

Dolomitenkönig

Sono oltre 90 i tipi di formaggio in Alto Adige. Tra i più noti troviamo ad esempio il Dolomitenkönig dell’Alta Badia o “re delle Dolomiti”, dalla inconfondibile consistenza morbida e con una occhiatura (o fori di stagionatura) grandi come una ciligia, frutto di una maturazione di almeno 50 giorni. Per non parlare del Bergkäse della Val Pusteria, un formaggio che viene prodotto con il latte degli alpeggi situati ad oltre 1000 metri di altitudine, là dove le mucche guardano gli stambecchi per contendersi le erbe più succulente delle praterie.

Bergkäse

Bergkäse

Una delle prelibatezze della Val Pusteria, è il Graukäse, o “Grigio” come lo chiamano a Versciaco e a San Candido. Un formaggio povero di grassi che nell’antichità i contadini di montagna usavano per sfamare la famiglia, perché la scrematura del formaggio serviva a fare il burro, che poi avrebbero invece venduto. È assai rinomato quello di Paul Wetlaner, del Maso Veider a Versciaco, un caseificio immerso nel verde, appena sotto il bosco che costeggia la valle bagnata dal fiume Drava.maso_veider_versciaco_low

Graukäse

Graukäse

Paul Wetlaner, del Maso Veider di Versciaco

Paul Wetlaner, del Maso Veider di Versciaco

Lo stralcio di quelle che sono le condizioni più significative per accedere ai fondi Ue per l’agricoltura biologica e le opportunità riservate alla imprenditoria giovanile:

Greening
Il 30% dei pagamenti diretti per gli agricoltori sarà condizionato all’applicazione, graduale a seconda delle dimensioni dell’azienda agricola, di tre regole per promuovere un uso maggiormente ecocompatibile delle risorse naturali. Si tratta del mantenimento di pascoli permanenti, della diversificazione delle colture e dell’istallazione di aree ecologiche.
Se le misure non vengono applicate correttamente, oltre a perdere questa percentuale del sussidio, il produttore sarà anche essere sanzionato, ad eccezione dei primi due anni di entrata in vigore della riforma e in maniera graduale negli anni successivi.
È stata poi trovata una soluzione per non premiare un agricoltore due volte per la stessa misura verde, dal momento che anche nei Programmi di sviluppo rurale – il cosiddetto secondo pilastro della Pac – sono previsti sussidi per chi adotta comportamenti più ecosostenibili di quanto la legge nazionale imponga.  È stata dunque stilata una lista dei casi di sovrapposizione delle misure, in modo da evitarne il doppio finanziamento.

Giovani agricoltori
Scatta per loro una “discriminazione positiva”: per incentivare l’accesso dei giovani alla professione, ai produttori fino 40 anni di età sarà destinato il 25% in più dei pagamenti diretti spettanti per ettaro. Oltre a questa garanzia obbligatoria, gli Stati membri potranno facoltativamente adottare anche altre misure a loro favore.

Il futuro, in Alta Pusteria, aspetta di essere conquistato.

Massimo Manfregoola

twitter: masman007

 Credits: www.provincia.bz.it/, http://europa.eu, www.eurosapienza.it/AGRI_PAC

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Massimo Manfregola è un giornalista con esperienze nel campo della comunicazione della carta stampata e della televisione. È specializzato nei settori del giornalismo motoristico, con una particolare passione per l’approfondimento di tematiche legate all’arte e alle politiche sociali.
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